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L’eterno conflitto

Mentre nella Comunità Europea si continua a discutere di armonizzazione della normativa in materia di gioco pubblico, e dietro le quinte di liberalizzazione del settore, dall’altra parte dell’Oceano, nel pieno di una rivisitazione della politica proibizionista, il Department of Justice statunitense ha sequestrato i domini di notissimi operatori di poker (skill games per noi) di cui alcuni attivi anche in Italia, o comunque prossimi ad acquisire la nuova  licenza c.d. comunitaria, oltre a 75 conti bancari in 14 paesi (utilizzati per le transazioni delle poker room) per circa 3 miliardi di dollari, e spiccato mandato d’arresto per undici manager.

UE: Il Libro Verde sul gioco sta animando il dibattito nell’ambito del parlamento europeo e non solo; si segnala infatti che la Commissione europea in data 20 aprile 2011 ha trasmesso un nuovo testo del Libro verde sul gioco d’azzardo on-line, ai sensi dell’articolo 127[1] del regolamento della Camera dei deputati, alle nostre Commissioni riunite, VI (Finanze) e X (Attività produttive). A seguito di un’interrogazione presentata nelle settimane scorse dal deputato Riikka Manner che chiedeva informazioni maggiori relativamente alla predisposizione del Libro Verde, il commissario al Mercato Interno Michel Barnier, ha ne potuto ribadire alcuni concetti fondamentali che lo caratterizzeranno, evidenziando che: “La Commissione è a conoscenza di situazioni differenti in cui è regolato il gioco online, azzardo in uno Stato membro e gioco di abilità in un altro. In assenza di armonizzazione, gli Stati membri sono liberi di definire ciò che costituisce un gioco di fortuna / abilità nelle loro rispettive legislazioni, – e che – “la Commissione attualmente non ha intenzione di proporre l’armonizzazione in questo settore, ma mira a maturare più chiare informazioni sulle norme nazionali, realtà di mercato e gli obiettivi politici di tutti gli Stati membri attraverso il Libro verde (….)”. Il principio dell’armonizzazione, inteso come processo di riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri della Comunità, mira ad eliminare ogni ostacolo tecnico, amministrativo o normativo alla libera circolazione delle merci e delle persone.
Il trattato di Roma aveva già posto le basi di una armonizzazione comunitaria, ma nel 1979 la Corte di Giustizia con la ;sentenza del 20 febbraio 1979 (incarto 120/78; sentenza Cassis de Dijon)[2]- aveva sancito il principio del mutuo riconoscimento, liberalizzando di fatto la circolazione di merci e servizi, e riconoscendo la validità delle normative degli stati-membri a quo.
Nel settore dei giochi e scommesse – escluso come sappiamo dalla direttiva Bolkenstein – i tempi ancora non sono maturi e quindi, come ribadito dalla stessa Corte di Giustizia in ognuna delle sue pronunce, gli Stati membri possono considerare una garanzia non sufficiente alla tutela dei propri concittadini contro la frode e la criminalità il mero fatto che un operatore offra servizi di gioco d’azzardo in un altro Stato membro nel quale è stabilito e dove già, in linea di principio, è soggetto a controlli delle autorità e alle condizioni di legge di tale Paese. USA: Mentre in Europa, a seguito dell’esempio di alcuni e dell’approccio degli organi comunitari al problema, è in itinere l’effetto “domino” di regolamentazione delle attività di gioco (principalmente on line) nei singoli Stati membri (si pensi all’apertura dei paesi quali la Spagna, la Danimarca, la possibile Germania, ect. ect.), dall’altra parte dell’Oceano l’FBI, agisce in esecuzione – seppure con un certo ritardo – delle norme penali restrittive alla lettera. I reati contestati sono “cospirazione per violare l’Uigea”, “violazione dell’Uigea”, “gestione di gioco online illegale”, “riciclaggio illegale di denaro”. La legge detta Uigea, Unlawful Internet Gambling Enforcement Act approvata dal Congresso degli Stati Uniti il 30 settembre 2006 e controfirmata dal Presidente George W. Bush il 13 ottobre 2006, intende sradicare il gioco d’azzardo online proibendo alle banche USA ed alle compagnie emittenti di carte di credito di trasferire fondi tra siti web di gioco on line/casinò registrati all’estero ed i giocatori residenti in America. In realtà, a dispetto delle citate prescrizioni normative sembra che piccole imprese creditizie di fatto abbiano accettato i pagamenti da giocatori americani, facendo poi risultare che quel traffico di denaro fosse da ricondursi a operazioni commerciali di diversa natura, in realtà inesistenti. Negli Usa un precedente simile risale al 2009 quando il Dipartimento di Giustiza fece arrestare uno dei top manager di un importante operatore internazionale di gaming, che riuscì ad evitare un lungo periodo di detenzione ma non l’incrimanazione ed una sanzione – per l’azienda – da 300 milioni di dollari. Gli esperti USA del settore, nonostante ci siano stati segnali in senso contrario, non prospettano la possibilità di arrivare ad una regolamentazione dell’on line in tempi rapidi, considerato che i Repubblicani e le principali leghe professionistiche che gestiscono gli sport di squadra (NBA, NHL, NFL) sono preoccupate dei danni che – dichiarano – potrebbe produrre il proliferare delle scommesse sportive on line. Le speranze degli operatori si concentrano però sul poker on line, considerata la tradizione del gioco nel paese. E se gli Stati Uniti in questo modo ci forniscono un esempio di perfetta applicazione delle norme esistenti, in Italia, la polemica principale si sviluppa all’interno di quell’apparato normativo in tema di gioco e scommesse che viene emulato in tutto il mondo. La discussione su gioco in line e terrestre, totem, canali di commercializzazione e via dicendo impazza, con sfoghi giudiziari di esito controverso. Ma ecco finalmente un operazione di tipo USA che mette d’accordo tutti: la scorsa settimana infatti nelle Marche la Guardia di Finanza ha denunciato 41 persone, che avevano messo in piedi una vera e propria truffa in danno dei giocatori. L’organizzazione aveva dislocato in molteplici esercizi e/o circoli delle province di Macerata e Fermo, con la complicità dei rispettivi gestori, dei computer abilitati all’accesso a due specifici siti di Poker on-line che consentivano di effettuare il gioco d’azzardo con circolazione di ingenti somme di denaro e l’evasione delle imposte dovute per i giochi leciti. Con un apposito software il banco giocava “a carte scoperte”. Il sistema prevedeva la partecipazione di 4 giocatori al tavolo on-line. Se il numero dei giocatori in rete non era sufficiente a formare il tavolo, intervenivano uno o più giocatori virtuali gestiti dal banco, che era in grado di vedere le carte in mano agli altri giocatori potendo così scegliere la mossa più conveniente in base al punto posseduto. Questo anche grazie alla maggiore attenzione che il nuovo modello di gioco sicuro prodotto dalla Legge comunitaria (legge n. 88/09) ha apportato. Sperando poi che il nostro Legislatore si renda conto che il contrasto al gioco illecito può essere condotto dando anche più strumenti agli operatori regolari che da anni lavorano e conoscono perfettamente le singoli realtà locali, anche in vista della prossima gara per i punti di gioco terrestre.

L’articolo è stato pubblicato sul giornale bisettimanale ”TS”


[1] L’art. 127 richiamato prevede che: “Gli atti normativi emanati dal Consiglio dei Ministri e dalla Commissione delle Comunità europee o i progetti di tali atti, non appena pubblicati nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee, sono deferiti per l’esame alla Commissione competente per materia, con il parere della Commissione politiche della Unione europea.

2. Entro il termine di trenta giorni, le Commissioni competenti esaminano il testo normativo in questione e possono esprimere in un documento finale il proprio avviso sulla opportunità di possibili iniziative. Il documento è stampato e distribuito ed è comunicato dal Presidente della Camera al Presidente del Senato e al Presidente del Consiglio”

[2] Il consorzio alimentare tedesco Rewe si era visto proibire dall’amministrazione federale tedesca dei monopoli per bevande distillate l’importazione del liquore francese “Cassis de Dijon” (20% alcol), poiché le leggi tedesche prescrivevano un contenuto minimo d’alcol del 32%. Il consorzio interpose ricorso presso la Corte. La Corte considerò che il divieto d’importazione violava l’articolo 30 del Trattato CE e ammise il ricorso. Secondo il citato articolo 30, gli ostacoli alla circolazione delle merci, risultanti dalle diverse regole esistenti per la fabbricazione e la commercializzazione di bevande spiritose, devono essere accettati unicamente in situazioni ben determinate.

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